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Don Luigi Ciotti sui Signori Rossi: “Avete trasformato il NO in un NOI”

Ringraziamo don Luigi Ciotti per la partecipazione alla presentazione del nostro libro alla Fabbrica delle “E” in corso Trapani a Torino.
Durante questa occasione una videocamera ha ripreso il suo commento al libro; nonostante le immagini un po’ distanti, abbiamo deciso di riproporlo, ancora scossi dal suo intervento e dalla sapiente sintesi con cui ha descritto il percorso dei tanti Signori Rossi: dal NO al NOI.

Per molti Signori Rossi questo suo intervento rappresenta un momento di gratificazione e un invito a continuare a mobilitarsi per risanare il nostro Stato.

UN VIDEO CHE MERITA DI ESSERE … ASCOLTATO!

 

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La protesta dei Forconi: qualcuno apra quella porta

Nel nostro libro “C’è chi dice no”, scritto con Alberto Robiati e Raphael Rossi per Chiarelettere, stimoliamo la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica; nei giorni passati, ognuno di noi tre, quasi senza confrontarsi, ha resistito alla tentazione di etichettare la mobilitazione dei Forconi come fascista o di nuova destra, pur comprendendo le ragioni che hanno spinto moltissimi a lanciare con forza tale allarme per la democrazia.

Ho osservato con trepidazione i fatti dell’ultima settimana evitando di esprimermi a caldo per cogliere la dimensione complessiva della protesta.  Così, sono sceso in piazza per vedere da vicino le persone che manifestavano, in particolare lunedì 9 dicembre, e ho ritrovato, è vero, dei “volti noti” come direbbe la Questura o come hanno scritto in molti sui social media per denunciare la partecipazione di Casa Pound o degli anarchici dei centri sociali o dei tifosi della Juve o dei tifosi del Toro, solo che le facce famigliari che ho scorto tra la piazza erano degli ambulanti di Porta Palazzo, dove tra l’altro vivo, quelli che hanno il macchinone e non fanno gli scontrini, ho sentito dire al bar; le facce di molti cittadini extracomunitari, quelli che accettano condizioni miserrime pur di lavorare, ho sentito dire in altre piazze; le stazze di quarantenni inferociti, quelli che fino a ieri guardavano il Grande Fratello, ho letto su molti post, mentre noi a manifestare anche per loro.

C’ero quando i poliziotti si sono tolti i caschi, applauditi in particolare da un gruppetto di ventenni, sedute a terra con fogli scritti a pennarello, come si fa per gli One Direction e ho letto poi “gli appelli al manganello“, addirittura da parte di chi quel manganello lo ha provato sulla propria pelle, in val di Susa o a Genova, per esempio, e anche lì io c’ero.

Una “nevrosi sociale” portata all’eccesso dai social media che rivela come ci siamo confrontati con una protesta inedita per il nostro paese, che non a caso ha avuto il suo epicentro a Torino, città da sempre anticipatrice di fenomeni politici, sociali e culturali.

A una settimana dai “forconi” pur respirandone ancora l’odore, fumogeni e lacrimogeni compresi, e pur vivendone ancora i disagi, lunedì lo sciopero dell’azienda di trasporto locale, che presto diventerà privata, ha creato piccoli collassi tra le arterie della città, stiamo lentamente rimuovendo il black out, innanzitutto emotivo, vissuto nei primi giorni della scorsa settimana.

Spero di sbagliarmi ma credo che questa esplosione di piazza avrà degli straschichi in futuro: il movimento dei Forconi segna innanzitutto una nuova modalità di protesta, senza rappresentanza, efficacemente disorganizzata, difficile da interpretare persino dalla Questura, che ritroveremo altre volte per le nostre strade, oltre a contenere, ahinoi, lo sdoganamento di una richiesta politica di una vera destra, militare e dittatoriale, quella che Berlusconi non ha mai rappresentato in Italia, pur raccogliendone il voto, e che è presente in ogni nazione europea.

Ci sono stati così tentativi repentini di riprendersi la piazza da parte di movimenti attivi da tempo, azioni sacrosante, soprattutto dove il limite democratico era stato di gran lunga superato, in particolare nella cintura di Torino, a Settimo Torinese e a Nichelino, gli ultimi casi, azioni dimostrative a cui si affida la speranza che possano tornare ad essere rappresentative.

Almeno un terzo degli italiani, infatti, si astiene durante le votazioni, cioè, non si sente rappresentato, un dato in continua crescita; il 40% dei giovani è disoccupato, il 27% degli under 35 rientra nella categoria dei Neet, che detta così resta una sigla, a volte tradotta in modo simpatico con “né-né”, cioè né occupazione, né formazione, ma che riportata a immagini reali, significa vivere giornalmente senza l’idea di costruirsi un futuro, rinunciando a cercare lavoro o a prepararsi per una una professione, pur essendo nel pieno delle forze fisiche e mentali. Altri dati ce li fornisce l’osservatorio del Gruppo Abele che non a caso sta lanciando una campagna contro la povertà dal titolo “Miseria ladra”.

I volti noti scesi in piazza sono persone che hanno scelto di partecipare alla vita pubblica, magari per la prima volta, perdoniamoli per tale sfrontatezza, che continueranno a farlo, alternando, a modo loro, quindi, imprevedibile, azioni sui social media a movimenti di piazza; alcuni finiranno per sostenere un nascente movimento di destra, forse guidato da leader in Jaguar con “Il Giornale” sulla cappelliera, evocando “il ritorno di Mussolino”, purtroppo ho sentito anche questo, o di Hitler “perché non si arriva alla fine del mese”.

L’unica risposta possibile, soprattutto in questo momento di emergenza, è aprire con fiducia le istituzioni alla partecipazione; se i cittadini stanno bussando violentemente alla porta dei Palazzi della Regione o dei Palazzi del Comune, significa che quella porta è stata per troppo tempo chiusa, non solo perché succedevano chissà quali intrallazzi, ma per arretratezza culturale di una fetta di politici, che non ha compreso per tempo e non comprende tuttora le opportunità offerte dagli odierni strumenti di comunicazione in termini di incisività e miglioramento dell’attività pubblica.

La partecipazione del territorio è stata relegata ad assessorati minori, senza staff e budget, per intenderci, ed è diventata nevralgica solo quando finalizzata ad accrescere consenso politico ed elettorale, dimenticando però di affiancarla alla partecipazione reale, quella di piazza, sfociata in modo virulento a Torino e nel resto d’Italia, lasciando esterrefatti tanti cittadini attivi che si erano assuefatti alla partecipazione virtuale alla vita pubblica, compresi gli elettori del movimento Cinque Stelle.

Nel nostro libro “C’è chi dice no” dichiariamo in modo convinto che “i cittadini possono risanare lo stato”, una frase scelta addirittura come sottotitolo del libro, solo a condizione che gli amministratori restituiscano loro il potere di cambiare la politica.

La protesta del 9 dicembre è una fragorosa richiesta di ascolto da parte dei cittadini, un gesto molto screanzato per richiamare l’attenzione.

Alla lezione impartita dalla piazza e dai poliziotti senza caschi si dovrebbe rispondere spalancando come non mai le porte delle istituzioni, innanzitutto, ai cittadini già attivi, associazioni e movimenti organizzati, e poi cercando tramite loro di includere nuovi cittadini e nuovi movimenti, in un percorso di cittadinanza attiva per individuare le soluzioni migliori per questa dolorosa crisi sociale; il timore, invece, è che tali fatti creino nuovi alibi per arroccare il potere, lasciando, invece, campo libero a “una guerra tra poveri”, già in atto sui social media e che presto si potrebbe trasferire per strada.

Se si riavvicinano i cittadini allo stato, seppure con grande impegno e fatica, si raccolgono nuove idee, si migliorano i servizi, si alimenta il senso della vita comunitaria.

Nel libro lo raccontiamo prendendo spunto da un’esperienza realizzata personalmente a Napoli dove, in piena emergenza monnezza, abbiamo aperto ai cittadini addirittura l’azienda pubblica dei rifiuti, creando in pochi mesi un presidio civico, ancora oggi vigile e attivo, alternando azioni sul territorio a iniziative sui social media.

Un’azienda pubblica messa in sicurezza, già nella seconda metà del 2011, grazie al coinvolgimento dei cittadini, che vigilano un settore in cui il rischio di infiltrazioni malavitose è sempre molto alto.

Qualcuno apra, dunque, quella porta ai forconi, o si attrezzi per farlo, facendosi aiutare dai tanti movimenti civici diffusi nel paese, senza accampare alibi o sperare in un fenomeno passeggero; certo, sarebbe fantastico che ad attenderli ci fossero dei politici ispirati a un’altra figura riemersa in queste ultime confuse giornate, il presidente Sandro Pertini, basta riguardare alcuni suoi interventi su Youtube per capire come fare politica nel 2013.

Stefano Di Polito
(fondatore con Alberto Robiati e Raphael Rossi dell’associazione www.signorirossi.it)

 

Scrivi il tuo “NO” CIVICO

Ispirandoci al libro “C’è chi dice no” (Di Polito, Robiati e Rossi, ed. Chiarelettere, 2013) vogliamo raccogliere 1 milione di “NO CIVICI” da parte dei cittadini, che di solito si pronunciano in maniera isolata, per creare un’unica grande richiesta di politica attenta alla collettività.

Qual è il tuo “NO” civico?

“C’è chi dice no” è materia di studio all’Università di Pisa!

 

Con grandissimo orgoglio segnaliamo che il nostro libro “C’è chi dice no” (ed. Chiarelettere) è stato adottato all’Università di Pisa nel corso di “ETICA E COMUNICAZIONE PUBBLICA” del prof. Alberto Vannucci.

Avviso Pubblico intervista Alberto Robiati, coautore del libro “C’è chi dice no”

I cittadini possono fare qualcosa contro la corruzione, le mafie e il malaffare? Anche se molte volte prevale lo scoramento o, peggio ancora, l’indifferenza, pare proprio di sì. Avviso Pubblico ha intervistato lo scrittore e giornalista Alberto Robiati, fondatore dell’associazione “I signori Rossi”, specialista in formazione relazionale e change management, che ha recentemente scritto un libro insieme a Stefano Di Polito e Raphael Rossi intitolato “C’è chi dice no. La rivoluzione dei Signori Rossi. Come i cittadini possono risanare lo Stato” (edito da Chiarelettere).

1. Chi sono i Signori Rossi?

Sono persone comuni. In particolare sono le persone oneste e corrette; dunque, almeno secondo noi, sono la maggioranza dei cittadini. Il problema è che, come noto, la maggioranza è silenziosa. Quindi noi ci siamo posti l’obiettivo di lavorare per renderla manifesta. I “Signori Rossi” sono per noi una risposta civica al dilagare, silenzioso e nascosto, della corruzione. Attraverso il Manifesto dei Signori Rossi sosteniamo e stimoliamo ogni singolo individuo e ogni movimento di cittadini attivi (per esempio tutti quei gruppi nati per presidiare un bene comune). I Signori Rossi mirano a sostenere una rete di, ci auguriamo numerosissime, azioni locali che sappiano creare un risveglio nella coscienza civica collettiva, per tornare ad avere voglia di occuparsi della cosa pubblica, di prendersi cura dello Stato.

2. Possiamo esserlo tutti?

Sì, possiamo esserlo tutti! Rossi è tra i cognomi più diffusi in Italia, può rappresentare il cittadino comune. Corretto e onesto. Rossi è anche il cognome di Raphael, co-autore con me e Stefano Di Polito del libro “C’è chi dice no”. Dall’esperienza personale di Raphael, che da amministratore pubblico ha denunciato una tangente, abbiamo tratto stimolo per rappresentare un modello nuovo, positivo, creativo, etico, per contrastare un malcostume diffuso nella Pubblica Amministrazione. Vogliamo creare una nuova percezione attorno alla correttezza. Non è vero che siamo circondati da corrotti e scorretti, come spesso si sente dire, o come spesso si vuole far credere. Siamo molti a praticare la correttezza quotidianamente e a pretenderla, specie dai nostri governanti e amministratori. Ma saremo in grado di ottenere risultati davvero concreti, pervasivi ed efficaci, solo quando oltre a essere una maggioranza, ci sentiremo anche tale. Per questo è importante che la voce circoli forte e veloce e che i corretti si manifestino!

3. Quando e perché è nata l’idea di scrivere un libro?

Abbiamo voluto lasciare questa traccia perché, attraverso la testimonianza di quanto fatto, proponiamo una strada possibile, se pure tra numerose difficoltà e ostacoli. Volevamo raccontare un’esperienza positiva, o come la definiamo noi una “avventura civica”. Rianimare la coscienza etica della maggioranza delle persone, innescare una serie di azioni per amplificarne la portata mediatica, sono tutti ingredienti necessari per un antidoto alla corruzione. La diretta conseguenza è la costituzione di presidi civici di persone interessate al proprio territorio e ai propri beni comuni, che esercitano un controllo sociale e, laddove possibile, una cooperazione civica, intorno alle aziende pubbliche (vero bacino di corrotti e corruttori). Il libro racconta tutto questo e fa una serie di proposte ai cittadini, agli amministratori pubblici, ai giornalisti, alla società civile, agli opinion leader, agli imprenditori e al mondo delle aziende. Non si tratta di utopie, ma di idee dedotte dalle nostre esperienze concrete.

4. Per essere “corretti e non corrotti” da dove bisogna iniziare?

Dal proprio quotidiano. Ciò che proponiamo è una sorta di “rivoluzione” personale, una specie di “chiamata” alla propria coscienza civica. Un invito a risvegliare la voglia, o in alcuni casi il bisogno, di impegno sociale. Certo, è necessaria la convinzione che i beni comuni siano una risorsa essenziale per lo sviluppo della società. E di conseguenza bisogna conoscerli e impararne i meccanismi, come fanno tanti cittadini nei piccoli comuni di tutta Italia quando partecipano ai consigli comunali. Si informano, studiano, dibattono, si confrontano. E poi prendono posizione, decidono e propongono. Questo tipo di partecipazione informata, colta, matura, competente, è la garanzia che può proteggere il nostro Paese da chi invece pensa che ciò che è di tutti sia di nessuno, dunque buono per il saccheggio. Quest’opera di partecipazione non può che essere collettiva. Dobbiamo tornare a nutrire la nostra capacità di metterci insieme agli altri e darci da fare per obiettivi condivisi. Dobbiamo educarci alla cooperazione e alla partecipazione, per esempio vivendo e sostenendo le tantissime associazioni già attive ovunque in Italia, che hanno a cuore una sola cosa: il bene comune e il nostro Paese.

5. Nel vostro libro avete parlato anche di Avviso Pubblico. Qual è secondo lei il ruolo e il valore che hanno associazioni come la nostra?

Avviso Pubblico ha il merito di mettere in rete enti locali che vogliono condividere pratiche virtuose e di proporre formazione su temi specifici, come il contrasto alla corruzione e alla criminalità organizzata. Ad associazioni come Libera e Avviso Pubblico abbiamo immediatamente pensato di rivolgerci quando ci siamo attivati come cittadini e come professionisti dando vita all’iniziativa dei Signori Rossi. Sul nostro sito www.signorirossi.it abbiamo voluto rappresentare il network di soggetti che promuovono come noi la cultura etica. Il senso profondo, appunto, è la rete, il fatto di mettersi insieme, e perseguire scopi comuni. Ed è con soggetti come Avviso Pubblico che miriamo, in futuro, a rafforzare servizi come SOS Corruzione, attivato sul nostro sito e gestito in modo del tutto volontario da esperti del tema. Un domani, ci auguriamo che, grazie all’aiuto di persone competenti e appassionate come don Luigi Ciotti di Libera e Pierpaolo Romani di Avviso Pubblico, questo tipo di servizio venga tramutato in uno sportello istituzionale, gestito direttamente all’interno degli enti locali, come servizio pubblico rivolto a tutti i cittadini.

 

 

Tratto dal sito di Avviso Pubblico