“E” di efficienza

Estratto da “C’é chi dice no”  di Stefano Di Polito, Alberto Robiati, Raphael Rossi; Ed. Chiarelettere (2013)

Che cosa significa amministrare con efficienza? Senz’altro vuol dire agire con oculatezza (va di moda dire «sobrietà»), evitando ogni possibile spreco (andava di moda la «spending review»), nel raggiungere i risultati prefissati (torneranno di moda gli «impegni concreti»?). Ma non basta, secondo noi.

Occorre intervenire sulle strutture organizzative e anche sulla pianificazione del lavoro, a livello dei gruppi (aree, settori, divisioni, uffici) e dei singoli. L’obiettivo è di costruire organizzazioni più snelle e adattative, capaci di rispondere alle sollecitazioni del contesto, anziché irrigidirsi sotto l’aspetto burocratico restando statiche per anni (talvolta decenni). Ciò può avvenire soltanto insistendo sistematicamente e cocciutamente sulla formazione.

Si tratta di fornire strumenti per sviluppare nuove competenze professionali, più manageriali se vogliamo, che rendano ogni dipendente, funzionario e dirigente in grado di coordinare attività, progetti, gruppi di lavoro, abile nella gestione di imprevisti e nella soluzione di problemi più o meno complessi. È un modo di gestire la complessità della società (e quindi del settore pubblico) attraverso lo sviluppo di capacità creative, alternative, innovative.

Questo approccio all’efficienza permette di lavorare dentro le organizzazioni pubbliche direttamente con le persone, i dipendenti, e con le loro capacità, assai spesso trascurate. E anche con quanto di buono è già stato fatto, con i progetti e le iniziative abbandonate o mai avviate. Un amministratore pubblico che opera con efficienza, lavorando con le persone (e non considerandole soltanto numeri di cedolini delle buste paga e voci di costo nei bilanci), non solo può fare la piacevolissima scoperta di avere in casa metodi di lavoro innovativi e migliorativi, ma ottiene anche un secondo, forse fondamentale, risultato: responsabilizzare le persone, generando (ma sarebbe meglio dire «rigenerando») lavoratori che dopo anni di «compitini» vengono finalmente riconosciuti come capaci, utili, degni di portare proposte e contenuti innovativi.

Infine, lavorare con l’obiettivo dell’efficienza vuol dire, secondo la nostra visione, amministrare con opportune strategie, pianificando le attività con lungimiranza e con attenzione assoluta a che cosa è utile davvero per la cittadi- nanza e il territorio e che cosa no, a che cosa produce danni collaterali inaccettabili e che cosa no.

L’amministratore etico deve agire tenendo sempre ben presente l’eredità che genera, deve pensare in maniera quasi compulsiva a che cosa ne sarà di quel progetto, di quell’azione, di quella misura, di quella procedura, tra cinque, dieci o vent’anni, quando avrà ormai lasciato la poltrona. I politici che amministrano il territorio e i servizi pubblici devono saper vedere un futuro che non c’è, immaginare situazioni che devono ancora concretizzarsi; questi sono saperi possibili soltanto se c’è l’abitudine a immaginare e creare «mondi migliori», mentre vengono annullati nella burocrazia e nella razionalizzazione portata all’ennesima potenza che non lascia guardare al di là del proprio naso.

A questo proposito ci torna alla mente una frase di Antonio Gramsci, tratta dal suo Odio gli indifferenti: «Un uomo politico è grande in misura della sua forza di previsione: un partito politico è forte in misura del numero di uomini di tal forza di cui dispone. In Italia i partiti di governo non possono disporre di nessuno di tali uomini: nessuno che sia grande».