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SOS corruzione: Quando un dipendente o amministratore d’azienda può considerarsi “pubblico ufficiale”?

LA VOSTRA DOMANDA – “Quando un dipendente o amministratore d’azienda può considerarsi “pubblico ufficiale”?”

La risposta degli esperti di SOS CORRUZIONE .

NOZIONE di SERVIZIO PUBBLICO

La nozione di esercizio di un pubblico servizio postula l’espletamento di attività direttamente rivolte al soddisfacimento di bisogni generali della collettività.

“Il servizio pubblico comprende tutte quelle attività lato sensu economiche, soggette ad un particolare regime per la rilevanza sociale degli interessi perseguiti indipendentemente dall’imputazione soggettiva a pubblici poteri.” (voce tratta da “Francesco Caringella, Il diritto amministrativo, 2001, pag. 902″)

Alla base di queste interpretazioni anche un imprenditore privato può svolgere attività di servizio pubblico, purché sia ad esso espressamente autorizzato, senza, peraltro, che il pubblico potere in capo alla Pubblica Amministrazione venga meno.

Può considerarsi “pubblico” sia il servizio assunto da un soggetto qualificabile come ente pubblico, che il servizio svolto in ragione dell’attività espletata ed indipendentemente dal soggetto che la espleta o al quale l’attività stessa è istituzionalmente collegata.

Al pari delle funzioni pubbliche anche le attività volte al soddisfacimento di bisogni collettivi (si pensi all’assistenza sanitaria, agli enti creditizi e bancari, alle assicurazioni, all’ istruzione), possono essere esercitate, oltre che dalla P.A., anche da altri soggetti privati attraverso la predisposizione di un’organizzazione economico-imprenditoriale, sempre su delega della Pubblica Amministrazione.

Deriva da ciò che non risulta sempre rilevante, quindi, la natura del soggetto erogante il servizio per poter definire lo stesso come pubblico, trattandosi infatti di attività di erogazione di servizi in favore della collettività che si definiscono in senso lato economiche, data la loro astratta attitudine a far conseguire agli operatori un utile.

A fondamento dell’esercizio del servizio pubblico sta l’art. 41 Cost. laddove la nostra Carta Costituzionale riserva alla legge di “determinare i programmi ed i controlli opportuni perché l’attività pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.

In questo senso, va sottolineato come sia sempre la legge, costituzionale e ordinaria, a fissare gli obiettivi, mentre la Pubblica Amministrazione, nella discrezionalità che le è riconosciuta, sceglie il modo per perseguirli. Ne deriva che la P.A. è sempre sottoposta e vincolata alla legge.

INCARICATO DI PUBBLICO SERVIZIO

Per incaricato di pubblico servizio si intende chi, pur non essendo propriamente un pubblico ufficiale con le funzioni proprie di tale status (certificative, autorizzative, deliberative), svolge comunque un servizio di pubblica utilità presso organismi pubblici in genere.

La Guardia Particolare Giurata , che lavora alle dipendenze di un istituto di vigilanza privato, è diventata “incaricata di pubblico servizio” a seguito del decreto legge del 8/04/08, quindi anche quest’ultima è soggetta agli stessi obblighi di legge a carico del pubblico ufficiale, pur non avendo gli stessi poteri certificativi, autorizzativi e deliberativi.

All’incaricato di pubblico servizio sono applicabili gli artt. 336 c.p. (violazione o minaccia a pubblico ufficiale) e 337 c.p. (resistenza a pubblico ufficiale). 

IL GRUPPO TECNICO DI SOSTEGNO ATTIVO PER SOS CORRUZIONE 

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Del 2010 butto la corruzione

(dal blog di Raphael Rossi su Il Fatto Quotidiano)

Perché chi rinuncia a una tangente come me passa per stupido o traditore? Perché è così anomalo denunciare la corruzione? Quali sono le condizioni che lo renderebbero normale? Al mio 2011 chiedo di rispondere a queste domande.

“Cosa butti del 2010?”: in questi giorni di feste e di vicinanza ai miei cari, più persone mi hanno posto questa domanda, quasi ad alleviare la tensione che mi porto dietro da quando è iniziato il processo che ormai conoscete.

E per di più nell’udienza preliminare, che riprenderà l’11 gennaio, è emerso che il caso sarebbe anomalo, vi è infatti pochissima giurisprudenza, cioè, sono pochi gli amministratori pubblici che denunciano altri amministratori pubblici per tentativi di corruzione.

Ecco, è questo che butterei del 2010: in una nazione come l’Italia gli amministratori pubblici non denunciano la corruzione.

Nei casi di tangenti è la parte privata, cioè il corruttore, a denunciare le tangenti e non la parte pubblica, cioè chi si vede offerte le tangenti. Questa verità mi ha colpito perché avrei pensato che in caso di malaffare fra chi rappresenta lo Stato, e quindi gli interessi collettivi, e chi rappresenta un interesse particolare, sarebbe stata la parte pubblica a trovarsi nelle condizioni di denunciarlo, anche perché un pubblico ufficiale a differenza di un comune cittadino quando viene a conoscenza di un crimine ha il dovere di intervenire.

Il problema è che la corruzione è un reato a cifra nera elevata per cui è molto alta la differenza fra i delitti commessi e quelli rilevati. La corruzione, cioè, può essere scoperta solo se uno dei partecipanti al reato sporge denuncia, altrimenti è quasi impossibile provarla.

Allora chi è che non accetta la tangente, se sa di farla franca?

Nell’intervista di pochi giorni fa su La Stampa il magistrato Giancarlo Caselli affermava che per mafia e corruzione si denuncia troppo poco. Mi è difficile non collegare la sua testimonianza alla mia vicenda, cioè alla difficoltà, una volta trovatomi in mezzo a uno di quegli episodi di corruzione, a sopportare le conseguenze della mia denuncia, dal mio ex luogo di lavoro fino al tribunale.

Tanto più che la corruzione è pericolosa perché è seriale (cioè i reati vengono ripetuti più volte dalle stesse persone) ed è diffusiva (cioè dove c’è un corrotto presto o tardi ce ne saranno altri). Come a dire che è una regola a cui devi sottacere.

Questa situazione non è più tollerabile, la corruzione è una “tassa occulta” di quasi mille euro all’anno per ogni cittadino, neonati compresi.

Essere amministratori pubblici, per me, vuol dire lavorare al servizio della comunità, operare nell’interesse generale, essere equi, affidabili e depositari della fiducia dei cittadini.

Per questo è necessario lavorare per rendere più facile la denuncia della corruzione. L’Ocse stessa chiede ai paesi membriProcedure chiare e conosciute, atte a facilitare la segnalazione di un comportamento contrario all’etica e a prevedere nello stesso tempo la protezione dei dipendenti pubblici che segnalano un’infrazione.

E visto che non c’è giurisprudenza e ho “l’onore” di essere uno dei pochi amministratori pubblici ad aver denunciato la corruzione, il buon proposito per il 2011 è capire come facilitare le denunce di chi si ritroverà nella mia stessa condizione.

E così del 2010 salvo le vostre 50.000 firme, le idee e le testimonianze sul gruppo di Facebook “Vogliamo giustizia nel processo di Raphael Rossi”, e questo prezioso blog per continuare la lotta contro la corruzione e affinché le Istituzioni vi si oppongano seriamente.